IL TECHNO NOMADISMO

di Pierfrancesco Pacoda

[fonte: Sulle rotte del rave. Dj’s party e piste da ballo da Goa a Londra, da Bali a Ibiza]

Qualcosa è rimasto a Londra della stagione gloriosa dei "free festival" degli anni settanta, dell’illusione lisergica e libertaria della musica come colonna sonora della marginalità ostentata, delle microcomunità che occupavano appartamenti in disuso e li trasformavano nel più eccitante dei club. Una scena che, nel corso degli anni, si è stemperata sulle rotte di un nomadismo a metà tra ossessione per un impossibile ritorno alla natura e desideri tecnologici e che ora si rincorre tra le spiagge di Goa, i "white party" di Bali e i grandi spazi senza limiti delle pianure sudafricane. Ma che resiste strenuamente anche nella metropoli londinese e che affida adesso proprio alla potenza artigianale e devastante dei subwoofer il proprio linguaggio libertario.

Le chiome rimangono fluenti, le lunghe gonne floreali continuano a frusciare e la musica batte forte il ritmo ancora psichedelico della "trance", la musica dell’"attraversamento", della transizione, la stessa che legioni di giovanissimi consumano ogni notte nelle cattedrali del piacere lisergico, come il Gatecrasher di Sheffield.

Ma questo suono, indipendente per vocazione e autoprodotto per scelta "politica", vive soprattutto nelle feste, bellissime e sotterranee, che ciclicamente sembrano riportare Londra ai tempi delle improvvisazioni collettive e delle vecchie, struggenti "estati dell’amore".

Questa è la musica degli Autobus Magici, divenuta adesso una serie di complessi esercizi di stile meccanici (come quelli assemblati dai Mutoid Waste Company, spirito senza frontiere e una base-accampamento-laboratorio dalle parte di Sant’Arcangelo di Romagna), assemblaggi che sfidano le leggi del movimento e affascinano i bambini per quell’aspetto a metà strada tra la macchina dei sogni e una citazione disinvolta e allegra di Mad Max. O dei Desert Storm, letteralmente "tempesta nel deserto", arrivati sulle prime pagine dei quotidiani britannici per aver portato i loro "rave party" improvvisati e indimenticabili nella Bosnia martoriata dalla guerra.

In piena guerra civile sono arrivati tra le macerie della convivenza nella ex Jugoslavia, a Tuzla. I loro dj infatti sono parte attiva dell’organizzazione "Workers’ Aid for Bosnia", un movimento di volontari che, con i soldi guadagnati con i rave party in Inghilterra, ha finanziato l’intrattenimento dance per i ragazzi bosniaci martoriati dalle granate e dalla fame. Ogni loro evento è finalizzato alla raccolta di fondi da investire in progetti sociali: "Siamo dj ma viviamo il nostro lavoro con lo spirito anarchico del punk. Mediato, però, dall’esperienza del sound system giamaicano". Con il desiderio, insomma, di costruire, di elaborare strategie.

È una scena che difende gelosamente la propria scelta, lontano dal consumo della dance di massa. Ma che attrae, ogni fine settimana, migliaia di giovanissimi, sedotti probabilmente da quella aspirazione a una libertà totale che è impossibile da vivere tra le quattro mura di una discoteca.

Niente pubblicità, pochi flyer disseminati tra negozietti dell’usato, pub e le merci del mercato di Portobello Road. Difficile trovare qualche indicazione su giornali e riviste patinate, ma basta cercare per scoprire una dimensione inedita, una voglia di coniugare intrattenimento e politica, divertimento e senso forte della comunità, che proprio intorno alle casse di un "sound system" ritrova valori quali il rispetto e la tolleranza.

Capita così che un gruppo di hippy di tutte le età abbia ottenuto a Luton alcuni edifici abbandonati in concessione dal Comune e li abbia trasformati in funzionali centri sociali, luoghi di incontro aperti a tutti, una sorta di avamposto sonoro contro il degrado delle periferie. La foto di gruppo li ritrae fieramente consapevoli delle capacità comunicative del suono trance. "Siamo partiti con tre vecchi amplificatori abbandonati in un garage. Adesso alle nostre feste arrivano sino a diecimila ragazzi". Quasi tutti disoccupati credono davvero che il sound system sia un’esperienza politica. Quando la locale polizia fermò quarantadue amici di Exodus, dopo l’ennesimo party non autorizzato, di fronte alla stazione di polizia quattromila scatenati ballerini improvvisarono un pacifico rave party, con gli altoparlanti che diffondevano a tutto volume i ritmi elettronici e psichedelici, come se Luton fosse divenuta, improvvisamente, una spiaggia di Goa.

Poi arriva la concessione di un vecchio ospizio, poco più di quattro mura senza una finestra intatta, un edificio divenuto il ricovero di tutti i derelitti della città. Con il lavoro e l’entusiasmo di Exodus adesso è diventato la haz Housing Action Zone; la casa del sound system, il centro naturale di attività offerte alla città. Persino il Comune e le forze dell’ordine hanno dovuto ammettere che questo gruppo così eterogeneo può essere più utile alla città di tanti inutili progetti faraonici. La scena non è più soltanto relegata nell’area londinese.

Brighton, sul mare, è invasa ogni estate da innumerevoli sound system pirata, che si chiamano Positive, Weird Science, Blues Room. Ogni notte, in spiaggia, compaiono gli impianti, le casse vengono montate rapidamente, i cavi connessi, le puntine iniziano a graffiare i vinili e i dj mixano i suoni ipnotici e devastanti della trance per migliaia di ragazzi "politicamente corretti" o felicemente inconsapevoli. "Qui" dice Michelle, dj di Advance Party "non siamo in un club, dove la tua capacità di divertimento è proporzionale a quanti soldi hai in tasca. Le discoteche sono raffinati parchi giochi, dove il piacere è sottolineato dalla scansione economica. Quando vai a un ‘free party’, puoi finalmente dimenticare i soldi. Quello che conta è ciò che hai nel profondo del cuore!"

La storia dei club, insomma, non è soltanto legata agli spazi patinati, la pista da ballo non è necessariamente il luogo dell’ostentazione. Da queste parti sarà davvero difficile trovare gli stessi abiti fotografati sulle riviste patinate, champagne e macchine sportive si tengono alla larga dall’ondata dei free party. Persino alle riviste musicali sfugge un movimento che rivendica il proprio diritto di festeggiare un solstizio o la luna piena e che ama spesso confrontarsi con un passato mitologico piuttosto che con un presente dove la musica è pensata per durare il breve volgere di una notte.

Così qualcuno è andato persino a riscoprire la leggenda di Re Artù e ad adottare quel fiabesco eroe come simbolo della rinnovata passione per la trance. Si chiamano Pendragon Sound System, sono forse i protagonisti più celebri della scena dei free party: "Abbiamo scelto il nome di Pendragon" spiegano Mark e Kate dalla loro base, celata tra le strade del quartiere per eccellenza dell’immigrazione nera a Londra, Brixton "proprio in omaggio a Luther Pendragon [Re Artù]. Le nostre feste sono occasione per far rivivere il suo spirito e sono basate sui rituali della mitologia celtica. Si svolgono sempre nelle notti di luna piena. Anche i celti avevano feste molto intense, selvagge, autentici rave che inducevano lo stato di trance. Consumavano funghi magici, si denudavano e coprivano il proprio corpo con colori e simboli; noi, semplicemente, siamo i depositari di quella tradizione tribale, che è molto più viva a Londra che a Ibiza o a Goa". Mark viene dall’esperienza, formativa per moltissimi protagonisti della dance britannica, delle radio pirata. Divideva il mixer scalcinato e i microfoni traballanti dell’emittente culto Phase One, impegnata a sfuggire ai controlli quanto a far ballare gli ascoltatori, con dj come Fabio, Grooverider e Dave Angel. Loro, adesso, sono delle superstar elettroniche, hanno i loro programmi alla bbc e girano il mondo amati come divi del pop.

Mark, invece, preferisce ancora montare i propri enormi impianti sotto le arcate delle tangenziali o in una landa a ridosso del mare in Normandia. O sulle montagne del Galles. Circondato da una tribù che cresce ogni giorno, irrimediabilmente sedotta da questa miscela inarrivabile e tutta britannica di miti magici, ecologismo e tecnologia dance.

La festa del solstizio è un rito pagano al quale la generazione trance difficilmente riesce a resistere. Una miscela di "ecowarrior" (i guerrieri dell’ecologismo, teorici di un ritorno alla natura e di una società anti-industriale), esponenti della diy Culture ("Do It Yourself", ovvero il rifiuto di manufatti che non siano creati artigianalmente), neohippy, punk che non sfigurerebbero nel club più esclusivo di Ibiza. E che invece si avventurano sui sentieri di montagna seguendo labili tracce, come un piccolo volantino trovato proprio nel negozio di Mark Sinclair a Brixton. "Porta una tenda e le buone vibrazioni". Non è San Francisco, ma l’Inghilterra oltre trent’anni dopo.

Le indicazioni portano a un villaggio rurale del Galles, fattorie a perdita d’occhio, depositi di grano e tetti di paglia."Non chiedete informazioni agli abitanti del posto" implora la locandina. "Chiamate questo numero." Una voce al telefono spiega come percorrere le ultime miglia di un sentiero che si perde tra le montagne. Bisogna seguire le istruzioni alla perfezione. Qualcuno ha preso la strada sbagliata ed è stato avvistato sulla cime di un’altra montagna. Può sentire il suono dei sound system, ma la vegetazione è troppo fitta per orientarsi.

Ad ascoltare i sound system di Pendragon, Fungus, Growbag sono arrivati da ogni parte dell’Inghilterra. Viaggiatori hippy con cani e bambini al seguito, stipati dentro pullman rallegrati da colori fluorescenti e simboli misterici, ma soprattutto tranquilli studenti universitari, professionisti, lavoratori, facce che si incontrano in qualsiasi pub all’ora dell’aperitivo. Sono qui per riscoprire, solo per un giorno, un senso della comunità, il piacere di condividere esperienze senza essere costretti al consumo industriale dell’intrattenimento. Gli "spliff" iniziano a girare, si stappano le prime bottiglie di vino. Nel parcheggio si notano persino una Porsche e una Jaguar. Goa non è poi così lontana. Specie quando si avvicina la mezzanotte e intorno alla pista da ballo siedono i percussionisti. Pura trance. Tamburi tribali che sottolineano la metronomia ritmica delle batterie elettroniche dei dj. Libertà totale? È così che dovrebbe essere un club. È così che dovrebbe essere una vera festa. Lo spirito selvaggio delle celebrazioni celtiche. Nessuno bada ai corretti passi di danza, i giocolieri invadono festosamente la pista e i mangiafuoco si mescolano ai ballerini, per la gioia dei bambini che si divertono quanto i loro padri. Il tè indiano è la bevanda più richiesta. Ancora più delle birre.

L’abbigliamento, poi, è il più eccitante risultato del "surfismo dello stile". Stivaletti neri in pelle lucida Doc Martens e vestiti che sembrano usciti da un mercato di Bombay, jeans vintage e qualche capo di stilisti dell’ultra-avanguardia. La festa continua nella notte. La musica è acida, durissima, "suonata" da dj che è impossibile ascoltare nei normali circuiti dance. Anche i dischi sono irriconoscibili. Tutte autoproduzioni concepite esclusivamente per questo mercato marginale, al di fuori della normale distribuzione di vinili per dj. Sono canzoni che salutano gli alieni, che inducono "stati modificati di coscienza", che rileggono, nel breve volgere di qualche minuto, oltre trent’anni di cultura psichedelica, di passione "acida", nata durante gli "acid test" dei Grateful Dead, West Coast, 1966 (gli eventi organizzati da Ken Kesey, l’autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo), passata attraverso la brutale rivoluzione dell’"acid house" (Chicago-Ibiza-Londra, 1986) e arrivata qui, in una radura nascosta in un’immacolata pineta sulle montagne del Galles. Un frammento di controcultura giunto miracolosamente illeso (e assolutamente vitale sino a noi) con tanto di lenti spogliarelli all’alba, lsd e invocazione allo "spirito tribale celtico", come suggeriscono gli inviti.

I magazzini abbandonati, le stazioni ferroviarie in disuso, i paradisi naturali. Pendragon riesce davvero a ricostruire, in ogni luogo, una sospensione atemporale. "Con le feste del solstizio" spiega Mark "è come se entrassimo in contatto con i nostri antenati. Dentro queste zolle di terra ci sono le nostre radici più profonde. Stabiliamo un contatto con i rituali magici dei celti; puoi vederlo mentre la gente balla, muove le braccia al cielo, utilizza i funghi magici. È una ritualità pagana che è arrivata incontaminata sino ai giorni nostri".

Così la pista da ballo si scopre laboratorio antropologico. "Con la nostra musica la mente finalmente è libera da ogni pensiero, riesce a fluttuare nello spazio e si fonde con la natura. Libertà di esprimersi. È questa la nostra filosofia. Ed è possibile solo nei rave illegali. Non all’interno di una discoteca con buttafuori, ballerine e abbigliamento alla moda".

È già l’alba di una giornata che si preannuncia caldissima. La maggior parte dei ballerini ha raggiunto le tende, in attesa che torni l’oscurità e i dj ricomincino a invocare lo spirito battagliero di Re Artù.

Una ragazza continua a ballare. Sulla gonna floreale d’ordinanza indossa una T-shirt con una scritta che recita: "You Will Never Understand". Non capirai mai. Quella dei trance party è sicuramente una delle realtà più emozionanti e nascoste del circuito dance internazionale.