LA FESTA

di Venusia

[fonte: www.bomshankar.tk]

Il rave è una festa, ma non nell’accezione che il termine ha comunemente assunto. E’ innegabile che la “festa” sia oramai scomparsa dalla nostra vita, sostituita dai “divertimentifici” del sabato sera, dal fanatismo sportivo, o , nel migliore dei casi, da tristi imitazioni di quelle che erano le “vere feste” dei nostri padri. Le varie sagre e fiere, nella maggior parte dei casi, del vero spirito liberatorio e anti-identitario che caratterizzava la festa in passato, hanno conservato ben poco, asservendosi così alle tristi leggi del mercato e trasformandosi spesso proprio in quei divertimentifici dai quali pretenderebbero forse di distinguersi: zucchero filato e banda non fanno una festa.

“La “vera festa” è una festa totale, senza limiti, sottintende l’idea di una transe. E’ generalmente celebrata attraverso danze collettive che si concludono con transes e crisi di possessione delirante” (1)

La “vera festa” è composta da tre elementi essenziali che sono: il gioco, la rottura col quotidiano, la trasgressione. Il rave, quindi, potrebbe essere una vera festa: attraverso l’ingestione di sostanze psicotrope, o lo stordimento causato dalla stanchezza e dall’affollamento, il raver gioca con se stesso e col proprio corpo, il proprio ruolo, i propri limiti. Esso prova una vertigine ludica, che lo stordisce e gli permette di staccarsi da una quotidianità opprimente e monotona, che il gioco, fonte di vita e di crescita (il diritto al gioco non è patrimonio dei bambini!) spezza con la sua capacità quasi magica di dare spazio ai sensi e allo spirito. Ludico è il senso di estraniamento, il cambiamento nella percezione di se stessi e del mondo che spezza le regole e ne crea delle nuove, slegate dalle necessità materiali e quotidiane che, se non esorcizzate, possono rendere la vita insopportabile. Il gioco rompe le costrizioni sociali legate al ruolo, allo stato sociale, ai doveri: durante la festa ognuno può essere chiunque, e fino in fondo sé stesso. Questa sovversione e trasgressione dell’ordine sociale e dei divieti è, nel caso del rave particolarmente evidente nel caso degli illegal, in quanto in un contesto fuori dalle regole è più facile sorpassare l’ordinario.

“Sin dalle origini della civiltà l'abolizione rituale-festiva delle differenze è servita al rinsaldamento dell'ordine gerarchico, a rendere accettabili le differenze stesse. Nelle complesse società occidentali di oggi l'edonismo è la forma rituale attenuata, "laica". Il techno-party gestito orizzontalmente agisce precisamente e conflittualmente su questo terreno tentando di sfondare la nozione di festa, immettendole elementi di rottura, di critica, di sperimentazione...” (2)

Ma per rompere le regole al raver basta il fatto stesso di partecipare ad un evento comunque non accettato fino in fondo dalla società in cui vive e probabilmente incomprensibile agli occhi dei genitori, della famiglia, dei colleghi di lavoro, ma sacro agli occhi degli altri raver, del gruppo, dei simili, di chi “può capire”. Il rave, come ogni festa, ha un carattere trans-sociale e trans-culturale:

“(I danzatori) tentano di sfuggire alla ritmica abituale del corpo, di svuotarlo da tutto ciò che contiene, dai gesti imposti da uno status sociale o da un mestiere.” (3)

Ed è proprio questo desiderio del raver di esprimere le proprie pulsioni più profonde che il quotidiano soffoca a fare del rave una vera festa, nel senso più profondo. Come i contadini delle nostre campagne aspettavano trepidanti il dì della festa per mettere il vestito buono e dimenticare per un poco le sofferenze, così il raver aspetta la sua festa, per lasciare per un poco a casa le ansie per lo studio, i problemi di lavoro, le turbe amorose, le litigate con i genitori.

“Il rave è terreno fecondo di disobbedienza identitaria-estetica rispetto alle linee esistenziali imposte.” (4)

Certo non è la stessa cosa, la cadenza dei festeggiamenti non è legata, non solo almeno, al ritmo delle stagioni, la fatica è meno grave, la povertà molto meno pesante, ma lo spirito è il medesimo, lo spirito della festa: quella trascendentalità che rende effimero ed improduttivo il tempo, che crea “solo” illusioni, desideri, vertigine. Nessuna società è o è mai stata estranea alla festa, pur se questa si manifesta in forme assai differenti. Così anche la nostra società, occidentale e disincantata, necessiterebbe di momenti di vera festa, ma le poche feste a cui assistiamo sono spesso organizzate, incanalate, addomesticate, ed hanno perduto le loro funzioni più benefiche. La “vera festa” è utile all’individuo così come al gruppo, ed è proprio per questo che riappare sotto la forma del rave: essa ha una funzione rigeneratrice che permette al partecipante di guardare la propria vita con maggior distacco, e può indurre importanti cambiamenti, ed una diversa valutazione della propria situazione.

“I ravers dimostrano in effetti una rigenerazione, una purificazione, un conforto dato da questi momenti di festa. Questo “viaggio” al di fuori delle strutture e delle regole imposte dalla società libera il corpo dalle sue contrazioni.” (5)

Il rendersi comunque conto della transitorietà della festa può indurre ad uno sguardo più critico verso il proprio modo di vita e verso la società; inoltre si può parlare di una funzione unificatrice della festa: questa infatti contribuisce a rendere compatto il gruppo sociale, e risponde ad una:

“Volontà di riunione, di unificazione, di eliminazione di tutti i fattori individuali o collettivi di diversità, di non conformità” (6)

Durante il rave non importa chi sei, di che colore è la tua pelle, non importano le tue preferenze sessuali, ciò che conta è “l’esser-ci con gli altri”, il confondersi, l’essere una cosa sola. Questo aspetto della festa è assai evidente nel caso del rave anche per via dell’effetto di sostanze psicotrope quali l’Ecstasy, che rispondono proprio ad una necessità di “unione” fra tutti i partecipanti, è il fenomeno del “karmacoma” di cui parlano con enfasi i ravers, quell’essere una sola cosa, che respira e si muove all’unisono, quando la festa raggiunge il parossismo. Durante la festa ha davvero poca importanza il concetto di tempo: non ha importanza ciò che accadrà domani, non conta il passato, l’unica dimensione riconosciuta è il presente:

“Gli “estasiati” hanno un altro rapporto con il tempo. Non si preoccupano in genere delle ore che passano, hanno perduto la nozione comune di tempo. Dei momenti molto brevi possono sembrare loro infinitamente lunghi; inversamente passano ore senza che se ne rendano conto. Vivono essenzialmente nel presente.” (7)

I raver rivendicano insomma un diritto alla “vera festa”, che sfugga ad ogni organizzazione sociale o politica, e proprio per questo divengono bersaglio di forte repressione. La “vera festa” può essere pericolosa, ed è per questo che la nostra società non la ammette e non la tollera. Il discorso è assai diverso se si parla delle serate in discoteca, fortemente commercializzate, istituzionalizzate, controllate. Certo è discutibile il fatto che per lasciarsi veramente andare sia necessaria l’ingestione di sostanze stupefacenti:

“La festa autentica non può mai essere prodotta per mezzo di catalizzatori farmacologici. E la loro assenza non impedisce la sua venuta. Lo spirito della festa, come una musa, contiene in sé la sua volontà” (8)

Certo le droghe possono aiutare a rompere con la quotidianità, rendono meno faticosa e più magica questa rottura. Il legame fra la festa e il consumo di droghe e vino è innegabile, proprio perché questo tipo di “rituale” non è ammesso durante la vita quotidiana, e non è con questa conciliabile; bisogna inoltre ricordare che le occasioni di festa per il raver possono essere assai numerose nell’arco di un mese, e pertanto l’apporto di sostanze che permettano di dimenticare la fatica diviene quasi indispensabile. Ci si può a questo punto domandare perché proprio ora, e proprio in Occidente, si assiste alla ricomparsa della vera festa.

“Le feste nascono quando si passa da un sistema all’altro, da un insieme ad un altro e quando la caduta dei valori di un mondo non permette ancora di prevedere le norme del mondo che si sta preparando” (9)

Il ritorno alla necessità di una vera festa indica quindi un’insofferenza nelle giovani generazioni nei confronti del vivere quotidiano, delle regole di vita imposte, e un’incapacità del sistema di rispondere all’esigenza di cambiamento e crescita nei giovani. E se la maggior parte di questi si accontentano di ciò che la società offre loro pronto e impacchettato, i ravers non accettano forse le regole imposte, e hanno necessità di una festa vera, non preconfezionata, non banale. La nascita della festa rave segna la rottura con il divertimento istituzionalizzato, e riporta in vita la festa dei nostri avi, la festa in quanto tale, totale, esorcizzante, a volte mistica. La festa che porta a confrontarsi con i propri limiti, e con i limiti del giorno e della notte, della vita.

La danza

Danza primitiva e danza rituale

La danza è stata fin dall’alba dell’Uomo uno dei più potenti mezzi di socializzazione, di esorcizzazione, di comunicazione con il divino. La danza non è solo musica, ritmo, arte: molto prima di divenire tutto questo -involgarendosi in un certo senso- la danza esprimeva l’essenza stessa della vita, il movimento. Si potrebbe dire che la vita stessa fosse una danza, o -come antichi miti narrano- la vita fu creata dalla danza.

“...Siva (“fausto”) è la personificazione dell’assoluto (brahman), il principio distruttore e al tempo stesso rigeneratore del mondo, dispensatore di morte e rinascita[...]. Nei templi Siva è spesso rappresentato nelle vesti di un danzatore con l’epiteto di Nataraja, “signore della danza”. La danza cosmica simboleggia il continuo rinnovarsi del mondo, in un ritmo infinito di dissoluzioni e rinascite. Per gli induisti la danza è più antica del mondo stesso, perchè è proprio danzando sul monte Kailasa che Siva creò il cosmo è l’attuale epoca. [...] Danzando e battendo il tamburo, il Danzatore cosmico fa risvegliare la vita; ma dalla stessa danza scaturisce la scintilla che distruggerà la terra e per questo il dio porta nella mano sinistra più alta la lingua di fuoco. Tamburo e fiamma sono i due elementi del gioco. Creazione-distruzione e le due mani che questi oggetti stringono rappresentano l’equilibrio fra la vita e la morte.” (10)

La danza e la musica sono, presso le cosiddette culture tradizionali ed erano, presso le popolazioni primitive, parte integrante della vita della società, sottolineandone i momenti più importanti, sia individuali che colletivi. Le occasioni per danzare sono molteplici, e fanno parte della vita quotidiana: si danza per invocare la pioggia, per celebrare il raggiungimento della pubertà, per festeggiare le nozze, per salutare un nuovo nato e si danza anche in occasione della morte di un membro della comunità, per propiziargli un buon viaggio verso un altro mondo. Presso le popolazioni primitive e le culture tradizionali, la danza ricopre infatti una sfera d’azione molto più ampia che nella nostra società, e non ha, come in quella occidentale contemporanea, una funzione estetica o di intrattenimento. La danza primitiva non è spettacolo: ciò che conta maggiormente è l’aspetto sociale e rituale, presso tali popolazioni non esiste infatti una netta separazione fra la sfera privata e quella collettiva, quindi ogni fenomeno naturale, esistenziale o sociale viene affrontato dall’intera comunità. Chiaramente anche presso le popolazioni primitive, in determinate occasioni, l’aspetto estetico viene ad assumere una certa importanza, come nel caso delle danze per la fertilità, durante le quali non solo si rende omaggio a Madre Terra ma si assiste alla nascita e al consolidamento dei legami sessuali all’interno della comunità, del gruppo. Le occasioni nelle quali si danza sono comunque sempre sostenute e collegate a rituali vivi e complessi, che hanno funzione di risposta e sostegno nei momenti critici. Si tratta di una tecnica mediante la quale le popolazioni affermano e esprimono sé stesse davanti alle proprie ansie e paure e alle condizioni ostili dell’ambiente. La musica, nell’antichità, era considerata la risonanza di un ordine cosmico superiore, si riteneva potesse influire così sulla vita degli uomini e sui suoi sentimenti, la sua salute. Corpo e psiche erano inseparabili, e gli antichi sapevano molto bene quanto la psiche, le emozioni, potessero influire sulla salute dell’uomo, consapevolezza che le medicine orientali mai hanno perso, e che solo da pochissimo tempo sta riaffiorando in quell'Occidente, che, annegato nel razionalismo, è riuscito a perdere (e non si sa se mai ritroverà) il senso del Tutto.

“In questo ambito anche le malattie assumono una connotazione sociale, non sono, come accade nella cultura occidentale, oggettivate e autonomizzate, bensì vengono contestualizzate, espresse, condivise e rielaborate in chiave mitica.” (11)

Nelle società primitive, come abbiamo già detto, la musica e la danza ricoprivano numerose funzioni, fra le quali la funzione di guarire: lo sciamano, lo stregone, danzava e invocava lo spirito degli antenati per far uscire le malattie dal corpo del paziente. Il potere taumaturgico della musica e della danza era già riconosciuto in Cina 2600 anni prima di cristo, quando si cominciarono a costruire i primi rudimentali strumenti in grado di emettere quattro note: il Fa, il Do, il Sol, il La. In Egitto si intonavano canti magici per curare la sterilità e i dolori reumatici, in Tibet la medicina occidentale non è mai entrata, e ancora oggi si intonano gli antichi mantra, suoni sacri in quanto rivelati ai mistici e agli sciamani dagli dei. Lo strumento privilegiato nelle danze rituali è il tamburo, il cui ritmo ossessivo è, secondo studiosi come M. Eliade, capace di produrre, o facilitare, la transe: il tamburo quindi come strumento per comunicare con il mondo degli spiriti.

“Il tamburo si distingue da tutti gli altri strumenti usati per la magia del rumore proprio perché rende possibile una esperienza estatica.” (12)

Le danze rituali, come le danze dionisiache dell’antica Grecia, o quelle dedicate a Siva in India, hanno in comune la celebrazione collettiva di eventi che possono provocare nel singolo sentimenti di angoscia o paura, si tratti di eventi legati al ciclo della vita umana, come la nascita, la morte, la malattia, o di eventi esterni, come gli eventi atmosferici o la guerra. Attraverso la danza rituale, come abbiamo accennato, lo sciamano, membro della comunità investito di un ruolo sacro, comunica con forze non materiali, la danza rituale quindi come medium fra naturale e sovranaturale. Ora, abbiamo detto che tutti i passaggi fondamentali della vita dell’uomo erano contrasegnati da riti di propiziazione. Prendiamo in considerazione i riti di iniziazione: durante questi riti l’adolescente viene sottoposto a prove molto difficili e dolorose, si assiste ad una morte simbolica, alla quale segue la nascita di un nuovo uomo, di un adulto. La danza rituale come rappresentazione, in questo caso.

La danza rave

Esiste una differenza fra danza rituale e danza tribale, e se successivamente analizzeremo il rave come rito e la danza collegata al fenomeno sarà pertanto definibile come “rituale”, si può fin da ora definire la danza rave come danza tribale. Come vedremo, all’interno del fenomeno esistono vere e proprie tribù, la cui esistenza è totalmente interrelata con il mondo rave: si tratta di gruppi la cui occupazione principale è organizzare raduni e feste, e che possono in qualche modo essere considerate delle tribù, come nel caso dei travellers e delle tribe, ma si tratta però di un fenomeno nel fenomeno. Inoltre si hanno situazioni in cui il rave raggiunge livelli tali di partecipazione e Unione per cui si può asserire di trovarsi di fronte ad una vera e propria tribù, seppur effimera: è la techno-tribù della Zona Temporaneamente Autonoma, destinata a sciogliersi alla fine della festa, per poi ricrearsi in un altro luogo e in un altro tempo. In questo senso, allora la danza rave sarà danza tribale.

Vediamo ora quali sono le occasioni della danza rave. Le occasioni della danza per le popolazioni primitive erano, come abbiamo accennato, legate profondamente ai cicli della vita individuale e delle stagioni, caratteristica questa che si può individuare anche nella periodicità dei raves. E’ innegabile che, ai giorni nostri, basti l’occasione di un Sabato per festeggiare, ma questo non esclude che determinate ricorrenze abbiano tuttora importanza, o -meglio- l’abbiano riconquistata dopo anni di oblio. Vi sono occasioni più “importanti” di altre, come il Capodanno e il Carnevale, e accanto a queste festività “comandate” riaffiorano ricorrenze che sembravano dimenticate: il Capodanno Celtico, trasformato dalla tradizione anglosassone nella festività di Halloween (in Italia “Tuttisanti”) viene frequentemente salutato con un rave “speciale”, preparato con maggior cura dei particolari, e così è per l’Equinozio di Primavera e per il Solstizio d’Estate. In occasione di queste due ricorrenze, riaffiorano nella festa rave usanze tradizionali, come quella dell’accensione dei fuochi, attraverso la quale nell’antichità si propiziava l’arrivo della bella stagione e della prosperità dell’agricoltura; il fuoco è uno degli elementi di maggior fascino dell’immaginario rave, sempre presente in occasione delle feste più importanti, nelle quali giocolieri e mangiafuoco non mancano mai.

Occasioni importanti sono date poi dalle notti di Luna piena (Full Moon Parties), se non altro per la carica energetica ed estetica che il plenilunio diffonde; non bisogna dimenticare che presso le culture tradizionali, e ancora oggi in Oriente, i cicli lunari sono considerati molto importanti e i loro riflessi sull’umore, sulla produttività, sulle maree, sulla natura tutta, vengono segnati da precise ritualità; importante è inoltre il ruolo della luna nelle leggende nordiche e in tutto l’immaginario fantastico della nostra cultura. Attraverso il rave tali ritualità riemergono.

Ma torniamo al Capodanno. Per il raver il capodanno è più che altro una “festa comandata” in occasione della quale il “doversi divertire per forza” può anche risultare molto antipatico. Non si tratta di un momento di passaggio molto sentito, come era per i nostri antenati:

“La festa di Capodanno è un grande complesso religioso proprio di società ai più svariati livelli culturali. Esso muta forma, significato, funzione da un ambiente culturale all’altro. Anche mutano rispettivamente forma, significato, funzione, i temi religiosi onde il significato stesso è costituito.[…] Il carattere dell’uno (il complesso) e degli altri (i temi) stanno in funzione del regime economico-sociale di esistenza, in funzione altresì dell’ambiente e delle congiunte esperienze di vita.” (13)

Le festività popolari e contadine riaffiorano, facendo rivivere tradizioni che nemmeno il Capitalismo, la Tecnocrazia e lo stress post-moderno possono cancellare, facendo sì che all’alba del Duemila le nuove generazioni rendano omaggio al Sole e alla Luna, esattamente come fecero prima di loro milioni di Uomini. Dicevamo che, ad ogni modo, ai giorni nostri può valere molto anche il festeggiare un fine settimana, specie se si è trattato di una settimana di lavoro e studio, e il Sabato diviene così, da giorno di riposo sacro a Dio che era, occasione per dimenticare, o mettere da parte per una notte almeno, tutti i problemi e lo stress della vita quotidiana. Il Sabato è sacro, ancora, ma in un altro senso, perché permette di scaricare le tensioni e lo stress settimanale. Così come i contadini si godevano il meritato -e desiderato- riposo dopo il lavoro settimanale nei campi, così ora i giovani, che di quei contadini sono il seme, esorcizzano i problemi di tutti giorni, la noia e la routine attraverso la danza, lo stordimento, le droghe. Il Sabato notte tutto è permesso. Per poi tornare alla vita reale.

Questo discorso vale, chiaramente non solo per il fenomeno rave ma per tutte le tendenze giovanili in fatto di gestione del tempo libero, dalla discoteca alla tifoseria sportiva. Ciò che distingue forse il fenomeno rave è forse il fatto di essere legato in maniera più conscia ed entusiasta a certe ritualità, che in altre situazioni sono perlopiù una scusa per festeggiare. Come dire che il raver festeggi perché ci crede, nonostante talvolta si finga di credere proprio per festeggiare. Un discorso a parte meritano i riti di iniziazione, inesistenti -o meglio scomparsi-, nella nostra società. Non esiste più nulla che segni il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, e questo fa sì che il giovane contemporaneo sia spesso vittima di nevrosi e insicurezze, dovute alla confusione dei ruoli, all’incapacità di fare delle scelte precise ed assumersi la responsabilità della propria esistenza. In Italia specialmente, anche in seguito alla disoccupazione giovanile e alla carenza di alloggi e assistenza, si tende sempre più a posticipare l’abbandono della casa dei genitori e se pure il giovane ha un lavoro o vive lontano (emblematico è il caso degli studenti fuori sede) il processo di emancipazione tarda sempre più, e con questo tarda la crescita interiore, si diventa “grandi” sempre più tardi.

Il rave è un evento coinvolgente, ma manca di una figura indispensabile ai fini di un rito iniziatico: l’adulto, colui che porta con sé l’iniziato, verso un nuovo stadio della sua esistenza. Non esiste una guida, qualcuno dotato di grande esperienza che aiuti il giovane a non sbagliare, e a non perdere la strada. Come vedremo meglio nel discutere del rave in quanto rito, la mancanza di tale figura fa sì che un qualcosa di simile all’iniziazione avvenga comunque, ma che assuma aspetti assai differenti: quest’iniziazione riguarda quasi totalmente l’uso delle sostanze psicotropiche e iniziato e guida appartengono generalmente alla stessa classe generazionale: la guida è in questo caso colui che “si è fatto un sacco di viaggi” e conosce sufficientemente le varie sostanze e i meccanismi del rave per preparare il novizio ad affrontare la situazione. Ciò che lega fortemente il rave alle antiche danze tribali o primitive, è la presenza della transe, spesso legata all’uso di sostanze psicotrope. Fin dalla più tarda antichità l’uomo ha usato le droghe per raggiungere determinati stati di coscienza, legati alle ritualità sacre, ma le droghe da sole non bastano, non sono mai bastate. E’ proprio la danza, il movimento, a mandare in transe: la ripetizione dei movimenti, la perdita dei punti di riferimento e dell’equilibrio, legati all’effetto ipnotico della musica, sono una tecnica per raggiungere la transe, oggi come sempre:

“Il ballo, col passare del tempo, provoca dei disturbi all’equilibrio e delle modificazioni dello stato dei partecipanti a livello psicologico e fisiologico. Ballare significa inserire la musica nello spazio, e questo inserimento si realizza attraverso una modificazione incessante dei rapporti delle varie parti del corpo.” (14)

Nel caso del raver l’effetto è aumentato sovente dall’ingestione di Ecstasy, trips o altre sostanze. E le luci stroboscopiche, i laser e la scenografia rafforzano ulteriormente l’effetto della danza.

“La coscienza del corpo, come fa osservare Rouget, ne è totalmente trasformata. Il ballo può essere considerato qui una tecnica di transe come nel sama dei mevlevi, i dervisci danzanti di Konya, dove la transe, di comunione, viene indotta da una tecnica di rotazione del corpo molto particolare che simbolizza la rotazione delle sfere dell’universo. Ma nel rave la danza è anche espressione della transe in quanto è libera e poco codificata. Il più delle volte astratta, esprime una liberazione manifesta dei danzatori, senza alcuna ricerca estetica.” (15)

Durante i rave si assiste talvolta a danze figurative che in altri contesti potrebbero essere accomunati alla possessione: alcuni raver danno luogo a figure mimiche molto espressive, sorridono o combattono il frutto del proprio delirio. Alcuni raver hanno una funzione dinamizzante per gli altri: i loro movimenti “fanno salire” l’estasi, e spesso divengono centro dell’attenzione altrui. La transe, accomunata alla danza, è qui un modo di liberarsi, di esprimersi totalmente, di pregare, forse, come lo era per le popolazioni primitive. Ma per meglio analizzare il profondo legame fra il fenomeno rave e l’ancestrale legame dell’uomo con la danza occorre precisare alcune questioni. Si diceva che la danza si è in un certo senso involgarita, ed è necessario illustrare questa importante affermazione. Si possono distinguere tre dimensioni della danza: quella profana, quella sociale e quella sacra (16); a queste dimensioni si associano tre diversi tipi di funzione. La danza profana è personalistica, egoistica e materialistica e svolge una funzione prettamente egoistica, di autogratificazione della personalità. E’ danza “essoterica”, che da luogo a fenomeni di divismo, dove il ruolo dell’attore è disgiunto da quello dello spettatore. La danza sociale è animistica, superindividuale, storica, e svolge una funzione di socializzazione. Il ruolo dell’attore e dello spettatore si mescolano, e si alternano, divenendo spesso la stessa cosa. Ultima, non certo per importanza, è la dimensione sacra della danza, di cui le altre dimensioni possono essere considerate il decadimento: la danza sacra è impersonale, spiritualistica, metastorica. E’ la danza “esoterica”, una volta patrimonio di stregoni e sciamani, ed ha una funzione reintegrativa, in cui il singolo si fonde nel Tutto, in cui il danzatore è attore e spettatore di sé stesso. E’ danza che crea, ma che può anche distruggere, è danza pura, di cui ogni danza non può che essere la deformazione.

Vorrei tentare di analizzare la danza rave, perché nonostante le differenti correnti musicali (techno, trance, gabber ecc...) e la trasformabilità della danza sotto i diversi influssi culturali ed ambientali, credo si possano individuare delle costanti che rendono la danza rave diversa da ogni altra danza contemporanea. Innanzitutto si tratta di una danza di gruppo, in cui ogni partecipante è condizionato dagli altri, sia fisicamente che psicologicamente: si può ipotizzare che le caratteristiche della danza di gruppo siano le caratteristiche stesse del gruppo -o dei gruppi- che vi partecipano. Non sarà difficile infatti notare l’importanza che i legami vengono ad assumere durante la danza, mettendo in evidenza un vero e proprio schema; anche la danza di gruppo presuppone infatti, come ogni altra danza, uno schema aprioristico, che coordini i movimenti anche in quella che può sembrare la più anarchica delle situazioni. Questo significa che il raver si muoverà e agirà in prevalenza all’interno della sfera delle amicizie più strette ma, essendo il rave per sua natura un fenomeno sociale, non mancherà di ballare e intrattenersi con altri, allargando così le proprie amicizie e complicando il disegno di fondo.

Ma cosa cerca il danzatore raver? L’intenzione può variare da profana a sociale, il raver può cioè essere interessato ad un puro appagamento egoistico ed all’esaltazione estetica: in tal caso probabilmente si porrà in qualche modo al centro dell’attenzione, curando i gesti da compiere, l’espressione del viso, e dando probabilmente molta importanza all’abbigliamento e al trucco. Questo non significa affatto che il raver profano sarà un’edonista inguaribile: egli potrà appagare le proprie pulsioni egocentriche anche stando in disparte, comportandosi in maniera grossolana, ballando e gesticolando freneticamente. Non bisogna dimenticare che i preparativi e il post-rave (vestizione e svestizione) fanno parte della cerimonia quanto la danza stessa. Si può supporre che il danzatore profano impieghi gran parte della cerimonia proprio a crearsi il “personaggio”, se mi si concede il paragone teatrale. Il danzatore essoterico baderà insomma molto all’apparenza, non gradirà essere troppo simile agli altri danzatori, e gradirà invece autogratificarsi nell’essere ammirato o pure detestato, sarà innanzitutto attore e non spettatore. Il danzatore sociale invece amerà con-fondersi con gli altri danzatori, divenendo al tempo stesso spettatore e attore, sarà simile agli altri anche nel modo di muoversi, nei gesti, nell’abbigliamento. Il danzatore sociale è profondamente storico, nel senso che segue la moda, non quella patinata e adulta, chiaramente, ma quella dettata dall’appartenenza al gruppo, dei raver in questo caso. Ora, sappiamo bene che si tratta di idealtipi, e che nella realtà tutte queste caratteristiche si mescolano, ma si tratta comunque di costruzioni assai indicative: nel caso del danzatore sociale abbiamo infatti l’esempio di quello che dovrebbe essere il raver per antonomasia, se -come vedremo più avanti- il rave è davvero basato sull’empatia e la socializzazione, almeno idealmente.

Un discorso a parte merita il danzatore sacro: difficile dire se il raver possa aspirare a tanto. Come abbiamo visto, “alcuni danzatori hanno una funzione “dinamizzante” per gli altri, li fanno “salire” come ci ricordano A. Fontaine e C. Fontana in Raver. (17) Si tratta di raver forse più “fuori” degli altri, le cui movenze incantano, ipnotizzano, sciolgono chi li guarda. Non di rado, durante i rave, si formano cerchi attorno ad un danzatore che fa da “catalizzatore” per gli altri, per poi lasciare il posto ad un altro. Difficile dire se questi raver “particolari” stiano compiendo una vera e propria danza sacra, ma è certo che alcune sostanze psicotrope, specie l’LSD e la mescalina (18), possano spingere molto “oltre” il danzatore, “aprendogli” le porte verso mondi lontani, fuori o dentro che siano, e gli permettano cioè di accedere a Stati di Coscienza Modificati legati allo sciamanesimo e alla danza sacra.

Chiunque abbia la possibilità di assistere ad un rave si renderà facilmente conto che nella cerimonia convivono tutte e tre le dimensioni riconosciute alla danza, e probabilmente ne riconoscerà la spettacolarità, ammirandola o pure avversandola. Ad un osservatore esterno qualsiasi tipo di rave, che si tratti di un illegal in un grande capannone in disuso o di un rave Goa immerso nelle colline, apparirà senza dubbio uno spettacolo unico, oltre che un fenomeno sociologicamente interessante. Questa spettacolarità è data dall’ambiente innanzitutto, che varia a seconda del luogo, della nazione, del clima, della tecnologia utilizzata. Ad ogni modo l’ambiente e la scenografia sono due elementi fondamentali nella danza rave, e ne sono parte integrante e indispensabile, perché ciò che realmente conta è l’atmosfera, e quest’ultima sarà determinata non solo dalle caratteristiche e dalle movenze dei danzatori, ma anche dal gioco di luci, dai “costumi” e dalla scenografia. Non esiste un ambiente caratteristico del rave, si hanno rave nei prati di collina, nei grandi capannoni in disuso alla periferia delle grandi città, nei centri sociali, nei clubs, sulle spiagge assolate indiane, persino sulle rive del Nilo. Paese che vai ambiente rave che trovi.

I padri psichedelici

“Il festival rock fu semplicemente la festa più folle e più influente di tutta la storia. Per un fine settimana, un campo di una fattoria divenne la terza città dello stato di New York. Quasi mezzo milione di giovani americani viziati, ricchi, istruiti, schiacciati, compressi, compattati in un pascolo di vacche.[…] Il più grande, più pagano evento musicale di tutta la storia, con abbondanza di gioiosa nudità e di sacramenti psichedelici. E fate click qui: neanche un solo caso noto di violenza! Il festival di Woodstock fu un revival altamente spettacolare del rito religioso più antico e più fondamentale: una celebrazione pagana della vita e della natura primitiva, una classica “cerimonia di possessione” di gruppo in cui la congregazione va fuori di testa”.” (19)

Non c’è dubbio alcuno che i free-festivals inglesi e americani siano in un certo senso gli antenati del rave. In Inghilterra si è avuto, dalla fine degli anni ‘80 ad ora, una vera e propria trasformazione di quelli che erano i festivals hippie in rave; in particolare fu da eventi quali i raduni per il solstizio d’Estate e l’equinozio di Primavera a Stonehenge che si produsse la prima scintilla rave: la musica psichedelica delle generazioni hippie e freak si trasformò in techno, e i free festivals divennero rave:

“Quanto alla trasformazione, a partire dai primi anni novanta, dei vecchi festival hippies in rave, in particolare in rave illegali, va ricordato che questa fu dovuta sia a persone che vivevano ancora in comunità hippies, sia dalla gente del viaggio, i traveller che si situano nella medesima scia...” (20)

Tale trasformazione si riflette anche nella musica:

“Molti puristi storceranno il naso al solo pensiero di paragonare il fenomeno rave e la sua musica a ciò che fu l’ondata psichedelica dei tardi anni’60, ma ciò che si consiglia è l’esame in macro di tutta la musica, non come singolo brano o musicista. La sua funzione...è di creare un continuum temporale, che trasporti in uno stato di trance[...] portando il danzatore a sincronizzarsi su ritmiche transpersonali, che lo avvicinino a quel senso di unione, di Unità, che sta alla base di ogni rituale, di ogni ricerca profonda.” (21)

Ci sono insomma molti elementi che fanno pensare ad una continuità fra il movimento dei free festival hippie e il movimento rave: il desiderio di “trasgredire” con l’uso “comunitario ”delle droghe, di fare festa nel vero senso della parola, di liberare il corpo e fare viaggiare la mente, di vestire in maniera particolare, di essere insomma riconosciuti come hippie o come raver. Il sentimento identitario di gruppo, è comunque probabilmente più debole nel raver che nell’hippie, in quanto, a meno che non si trattasse di un “falso hippie”, egli vedeva tutta la sua vita coinvolta in un tale tipo di scelta; e la dimensione comunitaria che nei rave nasce solo per svanire dopo poche ore, era invece assai presente nel movimento hippie, che proprio sul concetto di comunità fondava gran parte della sua “filosofia”: le comuni hippie che prolificarono all’epoca ne sono un esempio. Esistono quindi delle differenze molto forti fra i due movimenti che non possono essere ignorate, la differenza più evidente sta nel fatto che il movimento psichedelico, o hippie, intendeva “rompere” con il sistema:

“Era convinzione dei figli dei fiori che la libertà si potesse raggiungere solo disertando la società ufficiale senza scendere a compromessi e senza mantenere legami di sorta con essa. Quindi gli hippies rompevano del tutto col sistema e si stabilivano ai suoi margini, rifiutando a priori qualsiasi tipo di impegno. Il loro distacco dalla società veniva progettato come distacco totale, radicale e ben definito.” (22)

Questo desiderio di rottura non appare nel movimento rave, se non nel caso delle tribe e dei traveller, che si pongono, come movimento, proprio come congiunzione fra gli hippies (e i punks) ed i ravers, ma si tratta di poche migliaia di persone nel mondo, mentre i ravers, che sono molto più numerosi, non sentono la necessità di un taglio così definitivo e totale con la società, anzi, come vedremo in seguito, la filosofia rave sta proprio nel vivere nella società, tuttalpiù ignorandola, e scavarsi una propria “nicchia ecologica” in cui esaudire il proprio desiderio di libertà. Difficilmente si tratta di un distacco totale e irreversibile: il raver generalmente non è un individuo che rifiuta la società in toto, è piuttosto un individuo che delle contraddizioni di tale società fa un’arma di liberazione: prende ciò che gli piace (e gli serve) e cerca di ignorare il resto. Una tale filosofia giovanile potrebbe essere interpretata come nuova “via di fuga”, dopo il fallimento di movimento di opposizione totale quali quello hippie e quello studentesco del ’68 e del ’77, che, pur avendo ottenuto vittorie in campo sociale hanno lasciato l’individuo fondamentalmente solo e confuso. Il movimento rave non si propone di cambiare il mondo, ma semmai di scuoterlo dal suo torpore, mostrandogli dove sta la festa.

Questo non toglie che alcune parole d’ordine, come “love and peace” siano state riprese (la “Love Parade” di Berlino, che riunisce ogni estate migliaia e migliaia di giovani ne è un esempio), e che alcuni tratti in comune rimangano evidenti, si pensi per esempio al ruolo della donna: finalmente “liberata” dal movimento femminista degli anni’ 70, ella ha durante il rave il medesimo ruolo dell’uomo, non esiste cioè una distinzione vera e propria di ruoli. Anche nell’abbigliamento le differenze non sono profonde, se non altro per via della ricercata comodità, necessaria per ballare ore e ore di continuo. Questo non vuole significare che la donna raver sia profondamente androgina o non ci tenga a mettere in evidenza la propria femminilità, ma solo che ella non userà presumibilmente tale femminilità per differenziarsi dagli altri. La sessualità durante il rave, e anche in questo la differenza con gli anni della psichedelia è profonda, non è molto importante, semmai durante il rave si può parlare di sensualità, ma non esiste più quella necessità di liberazione sessuale che contraddistingueva gli anni della protesta giovanile, riflettendosi in comportamenti sessuali “liberati” e presumibilmente nemmeno troppo naturali. Per quanto riguarda i rapporti fra i sessi il rave, come abbiamo visto, riflette i principi della liminalità proposti da Turner, non vi sono cioè distinzioni nel vestiario, vi si pratica una certa continenza sessuale (rintracciabile nella sensualità che sostituisce la sessualità), e vi è una minimizzazione delle differenze sessuali; fra gli hippies le cose stavano in maniera assai differente: la minimizzazione delle differenze, e la proclamata libera sessualità per entrambi i sessi, era profondamente legata alla lotta femminista per la parificazione dei diritti.

Un altro tratto in comune fra il movimento hippie e quello rave è invece individuabile nel processo di commercializzazione che del movimento hippie segnò la fine, e che sta cercando sempre più di impadronirsi della filosofia rave per farne magliette, spille, borse e così via. Non ci sarebbe da meravigliarsi se il movimento rave cadesse proprio sotto i colpi di tale commercializzazione. Ma, come ci suggerisce F. Bolelli, lo spirito della psichedelia è un’idea, e come tale non può morire, forse sarà così anche per lo spirito rave (o è forse lo stesso spirito che si trasforma nel tempo?).

“Un tempo biologico e mitologico, un tempo di estasi, un tempo al di là del tempo. Un tempo quintessenziale, che abbraccia insieme archetipi e presagi, richiami ancestrali e spinte evolutive. E’ questa la dimensione della psichedelia: niente anni sessanta. Perché psichedelia non è uno stile storico, ma l’esperienza vitale vissuta in uno stato di grazia. Psichedelia è tutto quanto trasmette al nostro DNA un senso di espansione, ci sintonizza con la corrente del divenire, ci porta in contatto con il grande gioco dell’energia.” (23)

Note

(1) Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.65.

(2) Testimonianza di un raver illegale, in “Potenziale trasgressivo del rave”, Hyperreal, http://www.hyperreal.org

(3) Fontana e Fontaine, op.cit., p.41.

(4) Damian, Scintille di pubblico disordine, in A. Natella e S. tinari (a cura di), Rave Off, Roma, Castelvecchi, p.50.

(5) Fontana e Fontaine, op.cit., p. 42.

(6) S. Mandon citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.69.

(7) Ibidem, p.47.

(8) Cox, citato in Fontana e Fontaine, 1997, Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.68.

(9) Duvignaud, citato in Fontana - Fontaine, 1997,Raver, Roma, Sensibili alle foglie, p.78.

(10) Enciclopedia delle religioni, Garzanti, Milano, 1989, pp. 425/427.

(11) B. Braggio, 1995, Danza rituale e stati modificati di coscienza, in “Altrove” n. 2, p. 86.

(12) 1M. Eliade, citato in A. Marchisio, Tecnosciamani ed etnodeviazioni, in G. Dal Soler e A. Amrchisio (a cura di), Trance & Drones, Roma, Castelvecchi, p.76.

(13) Lanternari V., 1976, La grande festa, Bari, Dedalo libri, p.523.

(14) Fontana e Fontaine, opp.cit, p.41

(15) Ibidem.

(16) A. Forte, 1977, Esoterismo e socialità della danza, Roma, Atanor, p.75.

(17) Fontana e Fontaine, op.cit. p.43.

(18) A tale riguardo vedere il capitolo dedicato alle “Droghe da rave” del presente lavoro.

(19) Timothy Leary, 1996, Woodstock e i suoi nipoti in G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Milano, Virus Production-Musica 90, p.48.

(20) G. Lapassade, 1997, Dallo sciamano al raver, Roma, Sensibili alle foglie, p. 107

(21) B. Pochettino, 1996, Rave, sostanze e rit(m)o, in “Altrove” n. 3, p.133.

(22) W. Hollstein, 1971, Undergroung. Sociologia della contestazione giovanile, Firenze, Sansoni, p. 84.

(23) F. Bolelli,1996, Estasi-Espansione-Creazione, In G. Gallina (a cura di), Trance-Il passato remoto della musica del futuro, Torino,Virus Production-Musica 90, p.45.